Da quando è scattata l’emergenza sanitaria per la pandemia di Coronavirus, siamo sommersi da notizie e informazioni di ogni tipo. Servizi del telegiornale, trasmissioni televisive in cui si intervistano virologi e infettivologi, articoli, video-notizie, molto spesso in contrasto tra di loro.
Il problema non sono le informazioni in sé. Il problema è che queste informazioni sono sovrabbondanti e, spesso, contraddittorie. Lo scrittore George Bernard Shaw diceva: “Diffida della falsa conoscenza, è molto peggiore dell’ignoranza.
Tant’è che all’inizio di febbraio, l’Oms ha lanciato l’allarme infodemia.
Un termine che indica una vera e propria epidemia di informazione. Nell’epoca del social network e del web 3.0, le notizie corrono, si diffondono a una velocità incredibile, rimbalzano sulla rete, da una bacheca di Facebook a un canale Youtube, passano per le chat di Whatsapp e arrivano praticamente a chiunque e in ogni luogo.
Alcune sono notizie affidabili, verificate, che provengono da fonti certe e autorevoli. Altre sono fake news o bufale, notizie inventate di sana pianta, ingannevoli o fuorvianti.
In una situazione del genere è molto difficile distinguere e vagliare tutto.

Durante i miei corsi sulla comunicazione efficace, cerco sempre di veicolare un semplice concetto: più l’informazione è coerente, meglio viene accolta dall’interlocutore. Sia nel bene che nel male.
Quando una comunicazione è contraddittoria, l’altro è portato a dubitare della fonte da cui proviene quell’informazione. Il risultato è un aumento dell’incertezza, in grado di alimentare l’ansia che prospera proprio dove non ci sono certezze e punti fermi.
La mente ansiosa, infatti, è costantemente proiettata nel futuro e questo meccanismo si innesca proprio quando nel presente non ci sono abbastanza informazioni reputate certe. In altri termini: là dove non ci sono informazioni certe nel presente, la mente vaga nel futuro immaginando (spesso negativamente) di trovare delle risposte. Non casualmente, nella sua definizione clinica, l’ansia viene definita la paura della paura, ovvero la paura senza oggetto.
Quindi l’incertezza diviene angoscia e questa genera un forte stress che ha un impatto sulla psiche delle persone.
Comunicazione contraddittoria, paura e stress
In che modo l’infodemia ci influenza? Che impatto ha su di noi l’ansia fuori controllo? Stiamo parlando solo di ripercussioni psicologiche o anche fisiche? A queste domande si può rispondere attraverso studi specifici e ampi che sono ben lungi dall’essere esaustivi, ma che offrono importanti spunti. Io mi limito a proporre una serie di riflessioni sul tema della comunicazione e delle sue conseguenze.
Non voglio dilungarmi sui salotti televisivi in cui professori discutono animatamente su percentuali, mortalità, contagiosità del virus, perché io non ho competenze a riguardo. Non posso sapere, come molti di voi immagino, quanto il Coronavirus sia letale.
Mi metto nei panni di un Governo che cerca di salvaguardare la salute dei suoi cittadini, ma nella sua comunicazione è costretta fare i conti con molte altre opinioni, spesso diametralmente opposte e, con grande sorpresa, provenienti da illustri medici.
Probabilmente è a causa di questo clima mediatico che il Governo ha deciso di usare parole ancora più forti per far tacere le altre: negazionismo, coprifuoco, termini che generano ancora più allarme nelle persone, usati per alzare la voce al di sopra del brusio costante dell’informazione perenne e sregolata. Questa strategia comunicativa, in qualche modo, è comprensibile.
Ma c’è un ma.
Per quanto sia d’accordo sulla necessità di mettere in evidenza un problema presente e reale, per quanto io creda che le precauzioni prese siano necessarie e fondamentali per contrastare la diffusione del virus, devo rilevare che l’utilizzo di termini inappropriati generi ancora più caos e un senso diffuso di preoccupazione.
È come quando si entra in un ristorante dove c’è molta confusione perché tutti parlano ad alta voce. Se all’improvviso il proprietario sale sul bancone e inizia a urlare, molti ascolteranno. Ma altri vorranno alzare ancora di più la voce. Risultato: il caos.
Arriviamo così a un’altra questione.
Qualsiasi esperto della salute può confermare che quando viene diagnosticata una malattia psichica o fisica, alcuni pazienti reagiscono negando il problema. E’ un fatto noto, per certi versi fisiologico: la mente attraverso le sue difese cerca di tutelare l’integrità mentale. Per alcuni occorre tempo per accettare la realtà.

Allora, potremmo domandarci: qual è la relazione tra comunicazione allarmistica e aumento delle persone che negano il problema? In che modo la paura nutre la mente di coloro che negano il problema? Polarizzare gli italiani tra “negazionisti” e “allarmisti” è utile? Se demonizzo una parte di persone, consistente, come posso convincerle e farle “ragionare”? Nel momento in cui si utilizza un termine “atroce” come “negazionista”, qualsiasi tentativo comunicativo è destinato a fallire “ex tunc”.
Ritengo sia necessario evidenziare tali questioni, che andrebbero valutate con molta attenzione. Mi limito a osservare che le persone comuni vengono ogni giorno inondate da opinioni discordanti, paroloni e teorie che le lasciano stordite, ansiose e preoccupate.
Credo che le istituzioni si siano trovate davanti all’esigenza di correre ai ripari perché il rischio di avere un approccio troppo morbido avrebbe lasciato troppo margine di manovra al Coronavirus. Lo comprendo, e allo stesso tempo pongo una domanda: tutto questo stress che effetti ha sull’organismo?
L’impatto dello stress sulla fisiologia del corpo umano è abbastanza noto e documentato da sempre più studi. Alcuni di questi sembrano sostenere che la risposta ansiosa prolungata nel tempo abbia anche un notevole impatto sul sistema immunitario. In bibliografia indico alcuni esperimenti che lungi dall’essere esaustivi, pongono una domanda: tutto questo stress che effetto ha sul nostro sistema immunitario? Tra costi e benefici di una comunicazione istituzionale, e mediatica, così forte qual è il risultato finale in termini di resilienza e sistema immunitario?
In un momento così difficile questa comunicazione ci sta aiutando oppure no?
Esistono degli effetti collaterali che ci sfuggono?
Bibliografia
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