guerra conflitto dialettica psicologo roma eur

Conflitto e dialettica. Riflessioni di uno psicologo sulla crisi ucraina

Il titolo di questo mio articolo è volutamente provocatorio e, a maggior ragione, per comprenderne le motivazioni è opportuno che tu legga fino alla fine.

Ermete Trismegisto diceva: “Così in alto come in basso per fare la meraviglia della cosa una”. Questa frase esoterica viene solitamente definita legge dell’analogia e sta a indicare come quel che succede nel piccolo non è diverso da quel che succede in grande.

Così, quel che succede nelle nostre menti, a livello intrapsichico, legato a un conflitto, può rappresentare quel che avviene nella realtà esterna.

La guerra dentro di noi: il conflitto intrapsichico

 

Mi spiego meglio. Per quanto riguarda il discorso dei disagi psicologici, la maggior parte di essi derivano da un conflitto vero e proprio che non è tra noi stessi e un nemico esterno ma ha origine dentro di noi. Il nemico non è fuori ma all’interno. È quel che si definisce conflitto intrapsichico, tanto caro a Sigmund Freud, il padre della psicanalisi.

Molto spesso, iniziamo una vera e propria lotta con queste parti di noi che non vogliamo vedere, con cui non vogliamo dialogare. Il nostro desiderio è quello di estirparle, farle sparire tanto è vero che in psicologia vengono chiamate “parti esiliate”.

Potremmo dire che una persona che è all’interno di una dipendenza affettiva, ha una parte logica razionale che gli dice esattamente cosa deve fare e poi esistono le ragioni del cuore che invece le suggeriscono l’esatto opposto. Esiste così una lotta interiore, tra ragione e sentimento.

Potremmo estendere ancora il discorso. Abbiamo parlato in un articolo sull’autostima del cosiddetto dialogo interno, in cui spiegavo che questo dialogo interno ha radici antiche e può essere legato alla voce di un genitore particolarmente critico, che abbiamo interiorizzato e che conseguentemente continua a parlarci e ripeterci quel dialogo svalutante.

Dunque, queste parti esiliate possono essere parti che abbiamo interiorizzato cioè che abbiamo fatto nostre acquisendolo dell’ambiente che ci circonda. Più in generale, tanto più noi vogliamo combattere, silenziare e stigmatizzare queste parti di noi stessi come dannose e inutili, tanto più acquisiscono potere su di noi.

Prova ne è l’esempio di prima.

Tanto più si cerca di far prevalere la parte razionale, tanto più finiamo col seguire altre logiche.

Un altro esempio.

Anche quando abbiamo paura della paura, come nel caso dell’attacco di panico, e siamo sopraffatti dal timore di star male quando non possiamo permettercelo, quello che facciamo è smettere di dialogare con una parte di noi. In questo modo, però, diamo a quella parte sempre più potere e ci mettiamo nella condizione di sperimentare proprio quello che vorremmo evitare: l’ansia, il panico e la totale perdita di controllo su noi stessi.

Dal conflitto alla negoziazione: la necessità del dialogo

Quindi il principio è questo. Tanto più cerco di togliere potere a una parte di me, tanto più gliene do.

Cosa c’entra tutto questo con Putin, Zelensky e Biden?

Perché partire dalla psicologia per parlare della guerra in Ucraina e del panorama politico attuale?

Perché quel che è vero nel micro, è vero anche nel macro. Se siamo in un sistema dove una parte viene criminalizzata e l’altra incensata, di fatto noi stiamo impedendo che possa avvenire una negoziazione tra queste due parti.

La negoziazione è molto importante, sia a livello intrapsichico, sia a livello inter-relazionale, sia ovviamente quando parliamo di Nazioni e Paesi molto diversi tra loro.  Più c’è distanza tra le diverse parti, più è importante che ci sia un dialogo, uno scambio.

Chiariamo, però, il concetto di dialogo.

Spesso affermare, dire qualcosa ci fa paura perché la immaginiamo con una valenza violenta. Spesso si evita di affrontare delle parti dentro di noi e fuori di noi perché non abbiamo i mezzi per poter dialogare.

Ma dobbiamo distinguere tra assertività e violenza.

Che intendo dire: se asserire vuol dire affermare, la violenza è il suo esatto opposto. Tipiche della violenza sono le azioni che intenzionalmente danneggiano l’altro in maniera irreversibile. Oppure non avere la volontà di risolvere il problema. Perché lo scopo della violenza non è quello di raggiungere un nuovo punto di equilibrio tra le parti bensì quello di distruggere l’altro.

Quindi lo scopo ultimo della violenza è eliminare l’altro.

Ora noi sappiamo che, dal punto di vista interno, è impossibile eliminare le parti esiliate. E se è vero quel che diceva Ermete Trismegisto, questo è impossibile anche fuori dall’intrapsichico, cioè tra le persone.

Bisogna promuovere la cultura dell’assertività, del contrasto, dell’opposizione e della resistenza critica e soprattutto avere l’intenzione di risolvere il problema. Quindi l’obiettivo dovrebbe essere cercare di sviluppare una relazione nonostante le diversità.

Visione binaria dell’esistenza e complessità del reale

Guardandoci un po’ intorno, appare evidente che la maggior parte dei problemi nascono da una visione binaria della vita, vale a dire cercare sempre il colpevole. Per certi versi la nostra cultura, quella occidentale, è la cultura dell’avversario, anche sotto un profilo religioso. L’idea di fondo è che ci sia qualcosa di assolutamente condannabile e qualcosa di assolutamente giusto, ma questo modo di pensare porta alle catastrofi.

Perché?

Perché nel momento in cui si individua il nemico, io devo combatterlo. Non posso più dialogare con lui.

Se ci azzardiamo a una lettura di quel che sta accadendo attualmente, vediamo la storia che si ripete: da una parte c’è il colpevole, il soggetto assolutamente negativo, quasi il male incarnato e dall’altro lato c’è la persona è assolutamente nel diritto, nel giusto. Da qui nasce il conflitto, che se non risolto attraverso un dialogo e smettendo con la demonizzazione dell’altro, non arriverà mai a un negoziato di pace.

La pace ha a che fare con un nuovo equilibrio, con l’accettazione delle idee divergenti dell’altro.

Questo è valido per entrambi, non solo per uno.

Esiste una propaganda in occidente, ma anche dall’altro lato

Se non riusciamo a parlare, come possiamo sperare di arrivare a un equilibrio e a un benessere?

Bisogna cercare di sfuggire dalla tentazione di vedere le cose in bianco e nero, senza sfumature e calarsi nella complessità del reale e dei rapporti intrapsichici e interpersonali.

Ciò, naturalmente, non significa giustificare la violenza di un attacco armato contro una nazione indipendente. Significa, piuttosto, cercare una via alternativa allo scontro frontale, che passi attraverso il confronto aperto, una trattativa priva di pregiudizi verso l’uno o l’altro campo.

Per concludere, se tanti disturbi nascono da questa lotta interna tra parti esiliate e parti che invece vanno bene, la stessa cosa è valida anche fuori da noi.

Quindi accogliere il pensiero divergente, cercare di trovare un punto di unione dove si riesce a raccogliere anche soltanto una parte di ciò che è opposto a noi.

È un esercizio molto difficile ma credo sia anche l’unico modo di questi tempi per mantenere un senso critico al di là delle cose che stano emergendo.

 

How many roads must a man walk down

Before you call him a man?

Yes, ‘n’ how many seas must a white dove sail

Before she sleeps in the sand?

Yes, ‘n’ how many times must the cannon balls fly

Before they’re forever banned?

The answer, my friend, is blowin’ in the wind,

The answer is blowin’ in the wind

 

————————————

Quante strade deve percorrere un uomo

Prima di chiamarlo uomo?

Quanti mari deve navigare una colomba bianca

Prima che dorma nella sabbia?

Sì, e quante volte devono volare le palle di cannone

Prima che siano banditi per sempre?

La risposta, amico mio, sta soffiando nel vento

La risposta sta soffiando nel vento